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QUIET ENSEMBLE
FLUID EMOTION

 

Già l’appellativo “Quiet Ensemble” denota - ed evoca -, prima di ogni altra cosa, un’origine musicale; titoli come “Sul rumore, ascolta”, “Quintetto”, “John Cage’s”, ne aumentano la certezza. Quiet Ensemble nasce nel 2009: luogo d’incontro tra l’esperienza di Fabio Di Salvo (Napoli, 1985) e Bernardo Vercelli (Volterra, 1983) fonda il proprio statuto sulla sperimentazione e l’ideazione di opere a quattro mani (ancora, se vogliamo, un termine musicale). Diversa la provenienza (geografica e formativa) dei due artisti: Fabio Di Salvo conduce ricerche video-interattive attraverso l’utilizzo di software di editing digitale, Bernardo Vercelli è scenografo teatrale e lightdesigner. Insieme sviluppano un interesse per la contaminazione e la loro opera si espande in dimensioni allargate secondo interventi dove lo spazio modifica i propri requisiti nella ricostruzione che ne produce ora l’azione performativa, ora la ricreazione video, ora la reinvenzione sonora e luminosa. Come in una interpretazione musicale (interpretazione, si badi bene, non mera esecuzione) il duo Di Salvo/Vercelli perviene alla struttura dell’opera per aggiunte, dove le intuizioni soggettive si aggiustano nell’equilibrio progettuale che sta alla base di ogni intervento. Intervento in cui è facile constatare come non vi sia nulla di scontato, anche nei momenti di più aperta aleatorietà: anzi, l’aleatorietà è spesso il progetto in cui tecnologia e natura, immaginario concreto ed astratto, casualità e controllo (per citare parole degli stessi artisti) si combinano assieme in modi e funzioni che vengono continuamente trasformati e in questa perdita di gravità permanente si sviluppa una eterofonia nella quale accanto ad una traccia apparentemente uguale a se stessa, sorge una fioritura di segnali/stimoli uditivi/visivi sempre diversa, come avviene, per esempio in “Quintetto”, dove cinque pesci rossi, disposti in cinque acquari, attraverso il loro movimento “disegnano”sonorità differenti in base al loro movimento. E in un certo senso, quest’opera, risulta emblematica del lavoro dei due artisti, caratterizzato da una vasta antologia di modi di esprimersi: si tratta di progetti aperti nel senso che ogni opera genera situazioni e rapporti in fieri, come il progetto di una città della mente che - come scrisse Luciano Berio nella presentazione di “Coro” (una composizione del 1975) -, si realizza a diversi livelli, che produce, raccoglie e unifica cose e persone diverse presentandone i caratteri collettivi e individuali, le lontananze, le parentele e i conflitti, entro confini reali e virtuali ad un tempo. Più che una messa a fuoco, il Quiet Ensemble propone una sfocatura di dimensioni che invitano alla concentrazione per decifrarne senso e consistenza con l’obiettivo di rivelare luoghi comuni attraverso nuovi punti di vista. Un esperimento che invita - e talvolta obbliga - a rivedere ogni cosa attraverso nuove prospettive, innescando meccanismi di interpretazione che, attingendo alla nostra familiarità con le cose, d’improvviso si spostano verso territori franosi dove tutto è messo in discussione ed ogni certezza è solo travestimento. Il Quiet Ensemble in questo modo non prende in prestito il solo linguaggio delle forme ma anche i pattern di reazione: il gioco interattivo tra arte e osservatore diventa un modello imprescindibile e l’osservatore riflette la forma del lavoro e attraverso la reazione diventa lo specchio dei significati. Del resto, come scrive Gabriele Perretta, la sinestesia digitale, che ormai appare dappertutto, afferma che siamo calati in una società mediale. Nel linguaggio dei media il prefisso “inter” racchiude una molteplicità di significati e, abbinato a quello di medialità, implica che l’utente dell’opera è contemporaneamente anche l’attivatore del contatto semiotico stesso e ne diventa a tutti gli effetti parte. Ed ancora: (…) il fruitore-attivatore nel processo culturale dell’opera mediale è invitato più che a guardare a vedere, percepire (…) e alimentare la propria energia. Per questo, a nostro parere, il ri sultato non potrà mai essere singolare. Sarà semmai un risultato di slittamenti: il lavoro del Quiet Ensemble, ben lontano da instaurare una dimensione di quiete, come la loro denominazione potrebbe erroneamente indurci a credere, punta sempre in più direzioni, contemporaneamente ambigue. Nessuna realtà, solo combinazioni possibili: colloqui tra natura e identità e relazioni reciproche smantellano l’ordinario e provocano nuovi equilibri concettuali, senza mai trascurare, tuttavia, la pura estetica delle forme. Comunicazione e comprensione si alternano ed esistono soltanto sotto forma di desiderio e di sogno: una interpretazione dei fenomeni svelata insieme e che, insieme, coniuga udito e visione.


Marcello Palminteri


in AreaArte, n.11, autunno 2012, Martini Edizioni, Thiene


 
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