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ITALO BRESSAN
PITTURA COME MONDO. IL VISIBILE DEL NON VISIBILE

 

Un colore privo di densità e grumi, etereo e impalpabile, offerto come pura evocazione, sta alla base di una personalissima interpretazione della fenomenologia naturale che si concentra nel perimetro di opere che dalle piccole alle grandi dimensioni, si compongono per velature, per trasparenze. Facendosi macchia, scia o scolatura, sembrano ricercare proustinianamente il tempo della memoria, il tempo stratificato e ripetuto dove trame leggere esprimono il desiderio di infinito, il tempo immutabile e il tempo che scorre; sogno e realtà che unendosi si confondono. Italo Bressan, nato a Vezzano, in provincia di Trento, ma milanese d’adozione – si è formato nella città meneghina all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove attualmente tiene la cattedra di Pittura – appartiene a quel raro gruppo di artisti la cui capacità. di astrazione non è sterile esercizio di stile o autocompiacimento ma viatico per la ricerca di una liricità che si carica di tensioni, fratture, deflagrazioni; configurazioni e composizioni tenute insieme da una corrente dinamica e sicura la quale, rivelando l’azione, stabilisce la forma che matura come proliferante entità organica. Non a caso, spesso, le opere di Italo Bressan, siano esse su tele, carte, vetri, tavole o altri supporti assieme combinati, si dispongono in forma di dittici, trittici o in vari sistemi modulari, così da interrompere armonie apparenti o per lanciare il flusso di una pennellata ora in corsa verso una nuova porzione di spazio ora affacciato verso l’abisso del nulla. Così l’artista ci rivela reperti di un racconto interrotto che offrendo ambiguità percettive crea molteplici orizzonti, obbligando lo sguardo a vagabondare sull’opera. Ogni fisicità viene pertanto annullata e il supporto è la culla - o meglio, se vogliamo usare un termine naturalistico - l’alveo dove il colore fluisce come l’acqua di un fiume e come un fiume può cambiare a seconda della portata, del tempo o delle stagioni. E in effetti la metafora dell’acqua, ma anche quella dell’aria o del fuoco, è una di quelle che ben si cuce sul lavoro di Italo Bressan, rivolto più all’impressione che non alla descrizione, alla sensazione più che ad una concretezza tattile. Il titolo di una recente opera, Glenn Gould (2005, olio su tavola e colori su vetro, cm 120x108) ci fornisce una ulteriore e quanto mai verosimile chiave di lettura: quella squisitamente musicale. Del resto la musica ha il potere di evocare senza dover (e forse senza poter) descrivere alcunché. Lo sapevano i musicisti romantici e tardo-romantici che pure attraverso i molti poemi sinfonici hanno dato un “suono e colore” a montagne, steppe e fiumi. E lo sapeva benissimo - e ad esso ci preme giungere - Claude Debussy, quel grandissimo compositore francese la cui musica, più di ogni altra, sembra ricondurci al lavoro di Bressan e per più di un motivo: di certo per l’enorme “tavolozza” impiegata, enorme eppure trasparente, la cui tessitura dà vita ad una musica ottenuta per velature. Basterebbe ascoltare La Mer o Iberia, i Preludi o la Suite Bergamasca per rendercene conto. Ma se è un’opera titolata Glenn Gould appunto a solleticare questa interpretazione, forse potrà essere la Rapsodia per clarinetto e pianoforte, scritta nel 1910 da Debussy e fantasticamente interpretata (con James Campbell al clarinetto) dal mitico pianista americano, ad avvicinarci all’ascolto. Una pittura vera ed evanescente come l’acqua, come il fuoco, come l’aria, come la musica è allora quella di Italo Bressan. Una pittura che è l’immagine “Visibile del non visibile”, per citare un titolo ricorrente nella sua produzione che rivela - non a caso - la vicinanza concettuale con quello straordinario evocatore di immagini che è stato Paul Klee, pittore e - pochi lo sanno - eccellente violinista. Una pittura che è pittura perché è se stessa e solo se stessa e per questo può essere qualsiasi altra cosa. Ovvero può essere “mondo”.


Marcello Palminteri


in AreaArte, n.16, inverno 2013/2014, Martini Edizioni, Thiene


 
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