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PROTAGONISTI
FABRIZIO PLESSI

 

La struttura scenografica che caratterizza l’opera di Fabrizio Plessi è il luogo dove antico e moderno si incontrano in un fulcro che annulla ogni sterile contrapposizione tra avanguardia e passato, tra storia e contemporaneità; non esistono linee di confine (per quanto le tecniche di realizzazione del suo lavoro possano far presupporre, allo sprovveduto, il contrario) e, anzi, se un taglio parrebbe scorgersi, apparirebbe come un ricordo pallido e fastidioso rispetto alla complessa sfaccettatura di un artista ricco, sfuggente, provocatorio. Fabrizio Plessi è artista difficilmente riconducibile ai formulari delle correnti in cui naviga, in virtù di una personalità forte ed autonoma ed alla scaltrezza delle sue scelte. Figura di primissimo piano nel panorama artistico del secondo dopoguerra, nato a Reggio Emilia nel 1940 ma veneziano per adozione e formazione, la sua opera matura sul filo di una singolare ed accorta rivisitazione delle esperienze artistiche che attraversa, sempre in “obliquo”; una incursione i cui esiti si caratterizzano per le esplosioni vitali di una ricerca libera, apparentemente contraddittoria, assolutamente pura. Ne è prova l’esigenza, comune a tutto il suo lavoro, di organizzare la complessità degli elementi utilizzati in funzione di una unitarietà strutturale della percezione visiva che evita gerarchie e subordinazioni. E’ lo stesso artista a sottolineare la volontà “di abbattere le barriere tra scienza e arte e di operare attraversamenti in diagonale, vere e proprie globalizzazioni che renderanno più umano l’inespressivo volto della macchina”. Di qui l’incontro con lo schermo, apparentemente estraneo agli strumenti consueti dell’arte, impoetico agli occhi della tradizione poiché non proveniente dal mondo “artigianale” della pittura e della scultura, ma dal mondo esterno, quello del processo tecnologico, di cui Plessi intuisce le potenzialità e i vantaggi concettuali, riscattandone il lato espressivo latente, affrontando nell’indagine nuove qualità tecniche e percettive del fare arte. Un incontro che non costituisce una rottura nel suo processo evolutivo; il suo ricorrere al video aumenta la potenza scenografica del suo lavoro che va al di là del concetto sia di “gruppo scultoreo” sia di “installazione”, avvicinandosi semmai più al concetto di rappresentazione, di teatro. Come certe “insonorizzazioni”, create in collaborazione con musicisti di primo ordine e parte integrante di alcune sue opere, confermano. Così Plessi apre ad un linguaggio che dalle “serre” della tradizione si ricolloca nel mondo, ripensando il suo rapporto con la materia e con le cose, annullando ogni possibile estraneità nel contesto delle possibilità proposte sia dalle moderne tecnologie di cui fa sapientemente uso, sia da ciò che la sua conoscenza (e la sua voglia di scoperta) gli offre. Plessi utilizza il video come una materia, come fosse marmo, pietra, carbone, terra, legno: “Per me è basilare - sostiene l’artista - io non ho mai considerato la televisione uno strumento informativo. Considero la televisione esattamente come una materia (...) con la quale l’artista può con delle manipolazioni creare un proprio mondo”. L’integrità formale e concettuale di questo percorso, accompagnato da un idioma sempre pregnante e persuasivo, è senza tema di smentite il tratto che conferisce alla sua opera, sviluppata in oltre quarant’anni di lavoro costante e meditato, un profilo inconfondibile. La sensorialità delle immagini, ripetute nelle proiezioni luminose dei video, trova sempre consapevolezza nello spessore plastico degli elementi atti a contenerli e nella loro ricchezza formale. Non si tratta mai di forzate inclusioni ma di funzioni di collegamento la cui concatenazione non nega mai sviluppo e coerenza al discorso artistico. Il lavoro di Plessi oscilla sempre tra il visibile e il tattile e i due dati si valorizzano vicendevolmente senza cedimenti. Avverso ad ogni dogma e in posizione da individualista, Plessi media una organizzazione rigorosa, talvolta al limite del seriale, con la libertà del principio aleatorio, giungendo ad una sintesi organica degli elementi già antitetici reale/virtuale, determinato/indeterminato, ordinato/caotico. Questo aspetto è inseparabile dalla vocazione per una poetica espressiva capace di generare energie primordiali, dimensioni arcaiche e di immediata suggestione. Non a caso l’acqua e il fuoco sono gli elementi essenziali del suo linguaggio e della sua ricerca, il cui utilizzo, mai diretto, ma sempre filtrato attraverso il video, supera la tensione e la violenza dello scatenamento naturale a cui ancestralmente richiamano, mirando piuttosto ad un incontro poetico che si nutre della straniante impossibilità delle convivenze, di quelle apparenti contraddizioni - a cui accennavamo all’inizio - possibili in quanto pure, capaci di fornire metafore perfette della natura e del mondo. L’acqua e il fuoco, del resto, come le immagini trasmesse dai video, sono cangianti, fluidi, instabili. E il video, più di ogni altra cosa, è il medium in grado di restituire una visione “altra” della realtà. Quella di Plessi è un’acqua che non bagna, così come il fuoco non brucia. Qui sta la coerenza dell’artista, in questa capacità di unire e di rinnovare l’invenzione nella flessibile mutabilità con cui si propone. La forma coincide con il fluire delle immagini: così Plessi mette in gioco l’arte dell’allusione, della dissimulazione, giungendo ad esiti tra i più arditi, visionari e radicalmente innovativi. L’impressione complessiva è quella del trascorrere di una grande materia, come lo scivolare della lava (altro elemento caro all’artista, materia intrisa di fuoco), che rivela un universo simultaneo di immagini e sensazioni in cui l’evento naturale, sia esso lo scorrere dell’acqua, il muoversi delle onde o il bruciare del fuoco, sembra ripetersi all’infinito nel proprio accadere: tecnologia e manualità segnalano ipotesi di spazio e di forma e definiscono la sintesi perfetta tra antico e moderno, tra passato e futuro. Allora le opere di Plessi spesso monumentali, si impongono come sfida alle convenzioni di spazio e ambiente, di natura e artificio; l’artista organizza nuovi codici e per farlo raccoglie ogni mezzo e lo piega ai suoi voleri. Così lusinga la percezione dello spettatore e lo spinge ad esplorare il cerchio, l’ininterrotto fluire delle cose, il profondo. Senza mai perdersi in sguardi nostalgici ma riattraversando la storia per riproporre un’utopia, nell’ambiguità creativa che non distrugge il sogno sotto il peso della qualità tecnica del lavoro ma lo esalta nel gioco delle apparizioni, delle finzioni, dei mirabili inganni.


Marcello Palminteri

in Artantis.info, n. 1, gennaio/febbraio 2011, Artantis Edizioni, Napoli


 
 
 

FABRIZIO PLESSI

 

Fabrizio Plessi è artista difficilmente riconducibile ai formulari delle correnti in cui naviga, in virtù di una personalità forte ed autonoma ed alla scaltrezza delle sue scelte nelle adesioni ai moduli delle avanguardie. Figura di primissimo piano nel panorama artistico del secondo dopoguerra, nato a Reggio Emilia nel 1940 ma veneziano per adozione e formazione, la sua opera matura sul filo di una singolare ed accorta rivisitazione delle esperienze artistiche che attraversa, sempre in "obliquo"; una incursione i cui esiti si caratterizzano per le esplosioni vitali di una ricerca libera, apparentemente contraddittoria, assolutamente pura. Ne è prova l’esigenza, comune a tutto il suo lavoro, di organizzare la complessità degli elementi utilizzati in funzione di una unitarietà strutturale della percezione visiva che evita gerarchie e subordinazioni. E’ lo stesso artista a sottolineare la volontà "di abbattere le barriere tra scienza e arte e di operare attraversamenti in diagonale, vere e proprie globalizzazioni che renderanno più umano l’inespressivo volto della macchina". Di qui l’incontro con lo schermo, apparentemente estraneo agli strumenti consueti dell’arte, impoetico agli occhi della tradizione poiché non proveniente dal mondo "artigianale" della pittura e della scultura, ma dal mondo esterno, quello del processo tecnologico, di cui Plessi intuisce le potenzialità e i vantaggi concettuali. Un modo per intervenire su qualcosa che - nel bene o nel male - fa parte della nostra quotidianità (quante ore passiamo davanti al televisore o agli schermi dei nostri computer?), riscattandone il lato espressivo latente, affrontando nell’indagine nuove qualità tecniche e percettive del fare scultura. Così Plessi apre ad un linguaggio che dalle "serre" della tradizione si ricolloca nella natura, ripensando il suo rapporto con la materia e con le cose, annullando ogni possibile estraneità nel contesto delle possibilità offerte dalle moderne tecnologie di cui fa sapientemente uso. Plessi utilizza il video come una materia, come fosse marmo, pietra, carbone, terra, legno: "Per me è basilare - sostiene l’artista - io non ho mai considerato la televisione uno strumento informativo. Considero la televisione esattamente come una materia (...) con la quale l’artista può con delle manipolazioni creare un proprio mondo". L’integrità formale e concettuale di questo percorso, accompagnato da un idioma sempre pregnante e persuasivo, è senza tema di smentite il tratto che conferisce alla sua opera, sviluppata in oltre quarant’anni di lavoro costante e meditato, un profilo inconfondibile. La sensorialità delle immagini, ripetute nelle proiezioni luminose dei video, trova sempre consapevolezza nello spessore plastico degli elementi atti a contenerli e nella loro ricchezza formale. Non si tratta mai di forzate inclusioni ma di funzioni di collegamento la cui concatenazione non nega mai sviluppo e coerenza al discorso artistico. Il lavoro di Plessi oscilla sempre tra il visibile e il tattile e i due dati si valorizzano vicendevolmente senza cedimenti. Questo aspetto è inseparabile dalla vocazione per una poetica espressiva capace di generare energie primordiali, dimensioni arcaiche e di immediata suggestione. Non a caso l’acqua e il fuoco sono gli elementi essenziali del suo linguaggio e della sua ricerca, il cui utilizzo, mai diretto, ma sempre filtrato attraverso il video, supera la tensione e la violenza dello scatenamento naturale a cui ancestralmente richiamano, mirando piuttosto ad un incontro poetico che si nutre della straniante impossibilità delle convivenze, di quelle apparenti contraddizioni - a cui accennavamo all’inizio - possibili in quanto pure, capaci di fornire metafore perfette della natura e del mondo. L’acqua e il fuoco, del resto, come le immagini trasmesse dai video, sono cangianti, fluidi, instabili. E il video, più di ogni altra cosa, è il medium in grado di restituire una visione "altra" della realtà. Quella di Plessi è un’acqua che non bagna, così come il fuoco non brucia. Qui sta la coerenza dell’artista, in questa capacità di unire e di rinnovare l’invenzione nella flessibile mutabilità con cui si propone. La forma coincide con il fluire delle immagini: così Plessi mette in gioco l’arte dell’allusione, della dissimulazione, giungendo ad esiti tra i più arditi, visionari e radicalmente innovativi. L’impressione complessiva è quella del trascorrere di una grande materia, come lo scivolare della lava (altro elemento caro all’artista, materia intrisa di fuoco), che rivela un universo simultaneo di immagini e sensazioni in cui l’evento naturale, sia esso lo scorrere dell’acqua, il muoversi delle onde o il bruciare del fuoco, sembra ripetersi all’infinito nel proprio accadere: tecnologia e manualità segnalano ipotesi di spazio e di forma e definiscono la sintesi perfetta tra antico e moderno, tra passato e futuro. Allora le sue composizioni, spesso monumentali, si impongono come sfida alle convenzioni di spazio e ambiente, di natura e artificio; si riorganizzano in nuovi codici lusingando la percezione dello spettatore. L’arte torna ad essere finzione, mirabile inganno


Marcello Palminteri

in AreaArte, n. 3, autunno 2010, Martini Edizioni, Thiene


 
 
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